a cura di Furio Ciciliot e Maria Grazia Orlandini
Geografia del territorio comunale di Vicoforte
Vicoforte, Vico fino al 1862, è un comune situato in collina nel sud del Piemonte, quasi una balconata che domina l’alta pianura Padana, con un’altitudine che varia dai 443 ai 759 m sul livello del mare.
Il paese si trova in provincia di Cuneo e confina con Mondovì, Briaglia, Niella Tanaro, San Michele Mondovì, Torre Mondovì, Montaldo di Mondovì e Monastero di Vasco; ha una superficie di 25,45 Km2 ed una popolazione di 3.113 abitanti (31/12/12).
L’unico corso d’acqua di una certa importanza è il torrente Corsaglia che scorre nel lato sud ovest del territorio comunale per affluire nel Tanaro un paio di chilometri più a valle.
Alcuni rii, con le sorgenti nel comune stesso, segnano lievemente l’idrografia del paese: fra questi può essere ricordato solo l’Ermena che, per un breve tratto, scorre proprio sotto il Santuario, per proseguire verso Mondovì dove si immette nell’Ellero.
L’abitato storico di Vicoforte, a parte un paio di frazioni, è privo di un concentrico propriamente detto: due file di case, addossate le une alle altre, costeggiano l’unica strada sul crinale della collina, disegnando quasi un cerchio intorno alla valletta dove sorge il Santuario.
l Santuario di Vicoforte, la collina di Fiamenga e, sullo sfondo,le Alpi Cozie con il Monviso (fotografia di Piermario Autelli, per gentile concessione del Comune di Vicoforte)
Le borgate storiche del suo capoluogo sono: Borgo, Gariboggio, Costa, Poggio, Santuario e Fiamenga. In queste due ultime località un significativo sviluppo demografico, con nuovi insediamenti abitativi, ha portato alla nascita di un quartiere, il Castellino. Al capoluogo fanno corona, dislocate in pittoreschi comparti del variegato territorio, le tre frazioni: San Grato, Moline e Boschi.
Il territorio comunale è adibito, in buona parte, all’agricoltura ma permane una vasta zona boschiva. Nel Settecento e nell’Ottocento grande sviluppo vide la viticoltura, specie di moscato, oggi quasi scomparsa e sostituita da coltivazioni cerealicole quali grano e granturco, produzione di frutta come ciliegi, meli, peri, peschi, albicocchi e raccolta di foraggio per la fienagione.
La parte boscosa del territorio, rimanenza dello storico “bosconero” medievale, è ricoperta soprattutto di castagni il cui frutto oggi non rappresenta più una fonte di reddito per la popolazione e molte porzioni di castagneto, in particolare le più lontane ed impervie, sono lasciate nell’abbandono e a rinselvatichirsi. La fauna dei boschi si è, negli ultimi tempi, molto arricchita di cinghiali, caprioli, volpi e lepri.
La zona è ricca di minerali quali la figulina bianca, utilizzata per la ceramica fine, e l’argilla per cui nel Settecento si era sviluppata un’importante attività industriale di maiolica e di mattoni, produzioni oggi scomparse.
Una delle maggiori attrattive del paese è oggi il Santuario basilica che alimenta un continuo turismo non solo religioso.
Evoluzione storica ed amministrativa del territorio di Vicoforte
Vicoforte fu sicuramente già abitato al tempo dei romani, come testimoniano alcune iscrizioni lapidarie utilizzate come materiale da costruzione ed una necropoli rinvenuta al Santuario sulla via che, risalendo il corso del torrente Corsaglia, attraverso Pamparato e Garessio, sfociava al mare. L’analisi dei primi documenti medievali ha permesso a Giorgio Lombardi di ipotizzare in Vico la sopravvivenza di una struttura amministrativa precedente, risalente all’epoca romana (Vicinia).
Il primo documento ufficiale che ne attesta l’esistenza è del 1041. In esso l’imperatore Enrico III concede al vescovo d’Asti, rinnovando antichi privilegi, il comitato di Bredulo, di origine carolingia. Nel documento, Vico è descritto con la pieve di San Pietro, oggi parrocchia di Fiamenga, il castello, la corte e le cappelle, con la valle Corsaglia, con tutti i mulini e le acque pescose, sino alla sommità dei mon-ti.
Quasi sicuramente, il castello di Vico era posto al culmine della collina e, dentro due cerchie di mura, c’erano le case del Borgo.
Il Borgo aveva almeno tre accessi: uno verso i terzieri di Mercato Vecchio e Terragneto, oggi diremmo verso Mondovì, un secondo verso San Pietro ed un terzo aperto verso il terziere delle Settevie, oggi via Galliano.
Nel 1118, il vescovo concede ai suoi homines terre molto estese, in gran parte boschi e selve che coprono tutto il territorio della valle Corsaglia e dei suoi affluenti fino a Garessio: il Bosconero.
Il 27 ottobre del 1198 il comune sul Monte di Vico (questa è l’etimologia di Mondovì) è ormai una realtà; il paese d’origine, invece, resterà sotto il dominio episcopale per alcuni decenni, per poi divenire parte integrante e quartiere blasonato della città sino al 1699.
Panorama di Vico (fotografia di Mario Raschieri, 2014)
Importanza economica, intanto, ha acquisito, in pieno periodo medioevale e fino al XV secolo, il monastero di Santo Stefano i cui resti, anche se trasformati, ancora si vedono imponenti sulla collina spartiacque fra la valle Corsaglia ed Ermena dove transitava l’importante via per il mare.
I monaci, dipendenti dal fiorente convento astigiano di Azzano, erano proprietari di terre coltivabili – i cui insediamenti abitativi diventeranno i paesi di Moline e Pizzio (oggi scomparso) – e di mulini che sfruttavano la corrente del torrente Corsaglia.
Alla metà del ‘600 l’imposizione fiscale, sempre più oppressiva, anche a seguito di guerre e paci sfavorevoli al duca di Savoia, diventò insostenibile per la popolazione.
Mondovì e Vico, grazie ad antichi patti firmati al momento del passaggio sotto il dominio sabaudo, erano esenti dalla gabella del sale. Oltre a ciò, il comune era vicinissimo ai territori legati alla Repubblica di Genova: il sale era, quindi, facilmente reperibile e venduto di contrabbando ai paesi vicini.
Il duca di Savoia, che lo distribuiva sulle sue terre come monopolio a caro prezzo, pretendeva che la gabella fosse rispettata anche nel monregalese, impedendone il commercio clandestino. Le insurrezioni e le guerre durarono circa venti anni. Nel 1698 ci fu l’ultima rivolta al termine della quale il Duca, finalmente vincitore, smembrò la città di Mondovì, istituì la municipalità di Vico e quella di altri cinque comuni già altrettanto ribelli. Dal 1721 al 1798 Vico ebbe un conte, prima della famiglia d’Usseglio e poi di quella d’Ormea.
Il 4 ottobre del 1796 il paese subì una grave mutilazione del suo territorio per l’istituzione del Comune di Briaglia, da sempre sua frazione. Nel periodo napoleonico Vico dovette soffrire, essendo luogo di battaglie sanguinose, di rappresaglie e violenze d’ogni genere. Nel-l’Ottocento il paese, a poco a poco, tornò a rifiorire e riacquistare l’importanza del passato anche sul piano economico. Come già accennato, nel 1862 Vico assunse l’attuale nome di Vicoforte per distinguerlo dagli altri omonimi diffusi in territorio nazionale.
In questa ricostruzione storica una parte non certo marginale deve avere la storia della splendida basilica del Santuario che risentì moltissimo delle vicende del paese tanto che la sistemazione definitiva si ebbe solo trecento anni dopo la posa della prima pietra.
Secondo la tradizione, intorno agli anni 1590-92, lo sparo di un cacciatore, che inavvertitamente colpiva l’immagine del pilone ormai dimenticato e coperto di cespugli e la voce dei miracoli riaccesero la devozione mariana nella valle d’Ermena e attirarono le prime folle di fedeli. Il Duca di Savoia Carlo Emanuele I, genero di Filippo II di Spagna, volle innalzare un grande tempio con l’intenzione di farne il mausoleo di Casa Savoia, ma la sua morte e poi le guerre del sale rallentarono la costruzione progettata dal Vitozzi. Tornata la pace, con le offerte dei fedeli l’architetto Francesco Gallo iniziò la maestosa cupola ellittica che ancor oggi è la più grande del mondo. L’interno fu completato nel 1752 da Mattia Bortoloni e Felice Biella che hanno realizzato un affresco di oltre seimila metri quadrati di superficie sul tema di Maria Santissima e della salvezza. Anche questa opera è un record essendo la più grande superficie al mondo affrescata su di un solo soggetto.
Come ultima annotazione, una menzione meritano:
- · la parrocchiale di San Pietro con gli affreschi risalenti al XIV e XV secolo;
- · il Borgo antico;
- · la via delle Cappelle che da Fiamenga si sno-da verso Mondovì. Costruita nel XVIII seco-lo per facilitare l’accesso delle folle dei pellegrini verso il Santuario, conserva alcune cappelle votive che ricordano i misteri del Rosario (il cui numero non fu mai completato);
- · il monastero delle Clarisse che da alcuni decenni domina la via di San Rocco, una strada che, in circa 800 m, unisce il Santuario alla zona più antica di Vicoforte. Di qui si godono ampi orizzonti collinari che si raccordano con l’arco delle Alpi Liguri.