20. Toponimi del “nemus Saonense”

a cura di:

Nicolò Cassanello, Furio Ciciliot

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Geografia del Nemus Saonense

Alle spalle immediate della costa ligure savonese, a meno di cinque chilometri dalla linea di battigia, si estende ancora oggi una vasta area boschiva (Nemus Saonense) in cui gli insediamenti sono radi e quasi tutti risalenti agli ultimi secoli.

La valle principale di tale territorio è percorsa dal torrente Letimbro, toponimo nato nel Seicento in un ambito poetico arcadico dal latino laetus imber (lieta pioggia). Converge sul Letimbro, lungo complessivamente diciassette Km, in sponda destra la breve vallata del Lavanestro.

Il Nemus Saonense si estendeva anche nelle alte valli del torrente Quiliano, in parte sconfinando nella vicina valle Bormida con la vallata del Consevola, situata al di là dello spartiacque, e nella parte montana dello Sciusa, nell’attuale comune di Vezzi Portio.

L’altitudine minima della zona studiata è situata a poche decine di metri sul livello del mare, mentre quella massima giunge a superare gli ottocento metri sul monte San Giorgio (m 835), al limite tra il comune di Savona e quello di Cairo Montenotte, e proseguendo lungo la costiera divisoria sulla dorsale del monte Baraccone (m 819).

La maggior parte della sua superficie si trova quindi nel versante marino ad altitudini poco elevate e in zone ricche di acque, situazione climatica che ha favorito una abbondante copertura vegetale di latifoglie, con sporadiche presenze di macchia mediterranea nelle parti meno elevate o più esposte al sole.

Proprio la copertura forestale, un tempo senza soluzione di continuità ed oggi di nuovo in crescita dopo l’abbandono delle campagne, ha caratterizzato il rilevante valore geografico-economico del bosco, situato nei pressi della costa di una zona che presenta una antropizzazione già fin dai secoli protostorici, con al centro Savona, una delle principali città portuali del mar Ligure.

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Faggio del nemus (2013, foto f.c.)

Evoluzione storica ed amministrativa del Nemus Saonense

Il termine Nemus Saonense è utilizzato sistematicamente a partire dal XIII secolo per identificare la parte di bosco di proprietà del Comune di Savona. Ancora nel 1080 la stessa area era definita silva, probabile segno della sua ancora modesta conversione all’utilizzo antropico, se è esatto ricorrere ad una distinzione tra silva e nemus (bosco) basata sui diversi gradi di sfruttamento delle risorse forestali e pastorali.

Il valore storico di tale zona boschiva, estesa inizialmente oltre venti chilometri quadrati, è testimoniata dall’abbondante documentazione conservata che risale ad un’epoca anteriore al XIII secolo.

Il primo atto che permette almeno una identificazione del territorio è una pergamena del 1080, conservata in varie copie di cui alcune originali, dove si definiscono le caratteristiche dell’area.

Le prerogative riguardano una zona estesa fino al giogo montano che segna il confine con le terre boschive degli uomini di Cairo e di Dego, un territorio dove non esistono insediamenti se non temporanei per coloro che utilizzano il bosco per estrarvi i prodotti forestali o per il pascolo. Tra gli altri tributi si nomina l’escatico del bosco, con riferimento probabile alla raccolta dei prodotti naturali come i frutti degli alberi selvatici.

Altre indicazioni riguardano la parte della silva verso il mare che non dovrà essere interessata da interventi umani, mentre il documento lascia intendere per la parte valbormidese un parziale sfruttamento antropico: risale infatti ai primi decenni dell’XI secolo la fondazione dell’abbazia di Ferrania, situata nei pressi dei confini del bosco, ma già nel versante padano. Alcune proprietà della chiesa di Ferrania all’interno del Nemus sono ricordate in tre documenti (1171, 1176 e 1180) e riguardano, tra l’altro, una probabile miniera d’argento (argenteria) nella vallata del Lavanestro.

Alla fine del XII secolo entra in possesso della comunità savonese la vasta parte di territorio a Sancto Petro de Carpignana et in sursum usque Iugum, ceduta dai marchesi con atto legale del 10 aprile 1191, mentre è di poco posteriore la presa di possesso del territorio di Quiliano (23 novembre 1192), che comprende la sua fascia montana boschiva e la villa di Vezzi. Il territorio del Nemus, che ormai si può chiamare Saonense a pieno titolo, comincia ad essere interessato da un utilizzo per usi agricoli, almeno in alcune sue parti.

Un documento del 16 agosto 1265 riporta, fissando i confini del bosco, la delimitazione del territorio a cui si fa riferimento in questa ricerca (Cartina):

nemus autem predictum est inter territorium marchionis de Carreto et territorium comunis Sagone, videlicet in medio dictorum territoriorum, cui nemori coheret superius iugum Altaris, inferius vallis de Ri de Cornario, ab alio boschus hominum de Albiçola”.

In quel tempo, dunque, il Nemus si estendeva tra il territorio ancora di proprietà marchionale e quello comunale di Savona, ed i limiti dell’area erano rappresentati dal crinale dei monti di Altare, dalla valle del rio Cornaro (laterale della valle Quazzola) e dal bosco appartenente agli “uomini di Albisola”.

Nel 1263, per Savona divenne necessario costituire una sicura base giuridica possessoria per i terreni utilizzati dai privati. In tale occasione fu redatto un cospicuo numero di atti, confluiti nel secondo Registro della Catena del Comune, per determinare la localizzazione, l’estensione e lo status giuridico dei beni condotti

Sono 225 documenti che nominano e parzialmente descrivono parti del bosco (Tabelle 2 e 3). Poche decine di anni dopo, nel 1297, furono redatti altri 121 atti, che presentano caratteristiche formali simili a quelli del 1263 e interessano terre poste tra la valle dei torrenti Quazzola e Lavanestro, la zona di Montemoro e l’alta valle del Letimbro (Tabelle 4 e 5).

Per quanto in nostra conoscenza, non risultano esistere altre serie documentarie simili in territori vicini, per un’area limitata e definita come il Nemus. Inoltre il loro studio permette di affrontare alcune questioni importanti: dalla reale estensione del bosco di Savona alla distribuzione delle essenze arboree originarie, dall’utilizzo del suolo a fini agricoli, agli insediamenti umani, ancora da identificare, legati al sistema viario che lo attraversava e all’uso delle risorse minerarie.

Arrivati alla fine del XIII secolo si esaurisce, almeno in questa sede, il nostro intervento toponimico sul Nemus, la cui storia, in realtà, proprio da quel momento incomincia ad essere analizzata sistematicamente. Una estensione boschiva così ampia e vicina al mare fu infatti importante per una città ed una società che aveva nel legname uno dei materiali strategici primari.

Nelle varie redazioni degli statuti savonesi, a partire dalla prima del XIII secolo, i capitoli che riguardano la sua tutela sono numerosi e stringenti i divieti su tagli e modalità di utilizzo.

Con la perdita dell’autonomia savonese, terzo decennio del XVI secolo, il Nemus Saonense entrerà a far parte del demanio della Repubblica di Genova e ne diventerà il maggior bosco camerale (=pubblico). Tuttavia tra XV e XVI secolo, ampie parti di esso furono cedute in enfiteusi a privati o enti ecclesiastici, a-prendo, di fatto, ad un utilizzo intensivo aree ancora non intaccate dall’agricoltura.

La documentazione dei secoli successivi, già oggetto di studi ed analisi storiche, permette di approfondire ulteriormente le nostre conoscenze attraverso la descrizioni del territorio, vallata per vallata, che può essere facilmente rapportata e verificata con la toponimia attuale. La sua importanza proseguì fin quasi al-l’inizio del Novecento, quando una parte del Nemus divenne proprietà statale con il nome di foresta demaniale di Cadibona, coprendo un’area di circa duecento ettari.

In termini storici si tratta di un territorio tutelato da quasi mille anni – ricordiamo il documento del 1080, citato – uno tra i più antichi boschi pubblici conosciuti.

Sarebbe imperdonabile trasmetterlo alle generazioni future in una situazione naturalistica e paesaggistica diversa da quella giunta a noi.